Maria Maddalena – Rassegna stampa

Intervista a Lina Sastri, dal 28 febbraio al Ciro Menotti con “Maria Maddalena”, che ci parla dello spettacolo e della nostra città: «Milano? Mi piace assai. Le auguro di essere sempre guardata con occhi innamorati»

27 Febbraio 2023 – © MilanoSud

L’artista napoletana è arrivata in città, al Teatro Menotti con un monologo tratto da “Fuochi” di Marguerite Yourcenar. Una tra le potenti figure femminili da lei portate in scena

Quando la contattiamo per l’intervista è in un momento di pausa dai tanti impegni artistici in cui è coinvolta. A notte fonda è rientrata a Roma da Ferrandina, un borgo lucano vicino a Matera dove era con lo spettacolo Concerto Napoletano. «Bellissima esperienza, pubblico meraviglioso di Ferrandina. Indimenticabile». Si sono appena concluse a Napoli le riprese e sta per andare al montaggio “La casa di Ninetta”, film che segna il passaggio anche alla regia cinematografica in cui interpreta il ruolo di sé stessa. Tratto dall’omonimo libro scritto di getto, senza correzioni, qualche tempo dopo la morte della madre Ninetta, già adattato in spettacolo teatrale. «Ho cercato di riassumere in poche pagine tutto l’amore e la disperazione che avevo per lei, prigioniera di una malattia senza scampo come l’Alzheimer». E adesso l’artista napoletana arriva a Milano, entusiasta, con la sua “Maria Maddalena” (al teatro Ciro Menotti, da martedì 28 febbraio a domenica 5 marzo). Maddalena è una tra le potenti figure femminili che Lina Sastri ha portato in scena nella sua brillante e pluripremiata carriera (che si divide tra cinema, teatro e musica): la Maddalena ne completa (per ora) il quadro.

Lina cominciamo dallo spettacolo? Lo stavamo aspettando, impazienti…
«Il racconto è appassionato e spietato, come la scrittura magnifica di una Marguerite Yourcenar, assolutamente ardente, allora trentaduenne, innamorata follemente, non corrisposta, del suo editore, André Fraigneau. È un canto poetico in cui prende forma una storia d’amore dolorosa e appassionata. Maria Maddalena ormai vecchia e saggia, caustica e rassegnata, carnale e mistica ripercorre il doppio abbandono che segnò la sua vita: quello dell’apostolo Giovanni, promesso sposo che la lascia la prima notte di nozze per seguire la voce di Dio, e quello di Gesù, che si sottrae alla vita per compiere il suo destino di Salvatore lasciandola di fronte a un altro letto vuoto, quello del sepolcro. Non se ne libera di quella passione di cui viene privata, che la condanna a un destino di solitudine e infelicità».

“Maria Maddalena” ha un sottotitolo: della salvezza.
«Ma Maria Maddalena non si salva, non viene salvata da nulla. Quando la Maddalena scopre il sepolcro deserto e la resurrezione di Cristo, sperimenta in sé una solitudine ancora più profonda e definitiva e afferma: “ero di nuovo più vuota di una vedova, più sola di una donna abbandonata”. La passione di Maria Maddalena è la sofferenza di un desiderio insoddisfatto. Paradossalmente, vince sul rifiuto, elevandolo quel sentimento folle, carnale, disperato, irraggiungibile nella sua compiutezza a una qualche forma di fede nell’Assoluto».

La figura di Maria Maddalena è tra le più affascinanti e controverse della narrazione evangelica. Cosa ti ha colpita di più della versione di Yourcenar?
«Proprio il suo amore così passionale per l’uomo Gesù. Un amore totale, ferocemente totale e totalizzante, che si impone come malattia e vocazione. Fino alla dedizione più assoluta».

È un percorso inquietante e profondo nell’anima femminile…
«Marguerite Yourcenar, in Fuochi, nel monologo in cui dipinge la figura di Maria Maddalena, a un certo punto le fa dire una frase per certi aspetti enigmatica e che mi trascina alla meditazione: “Quando conobbi la passione, dimenticai l’amore”. La passione è qualcosa che ormai si vive sempre meno perché si ha sempre più paura di abbandonarsi ai sentimenti. E di cadere in una relazione “tossica”. Per questo trovo “Maria Maddalena” così straordinariamente, attuale. In qualche modo lei è l’oscura generosità del femminile che si dà senza riserve. Una resa incondizionata. Fino al sacrificio di sé. Una resa per l’appunto che oggi fa molto paura».

© Lina Sastri. Foto di Carlo Bellincampi.

Avevi già interpretato il ruolo di Maria di Magdala per L’inchiesta, film di Damiano Damiani (1987) con il quale hai vinto un David di Donatello per la migliore attrice non protagonista.
«Un film che si avvale di una brillantissima idea narrativa: applica la struttura del giallo poliziesco al mistero della resurrezione. Tiberio invia un investigatore in Giudea, per indagare sulla misteriosa sparizione del corpo di un giovane chiamato Gesù, di cui sarebbe stata testimone una donna di Magdala e decide di rintracciarla per sapere da lei dove si sia nascosto. Anche Maria è un personaggio che si ripresenta continuamente, nel mio percorso di attrice. Ho avuto l’onore di interpretare anche la Madonna. Ho debuttato in Masaniello con la Madonna del Carmine (9 agosto del 1974) e sono stata Maria, madre di un Cristo dei giorni nostri nelle Nozze di Laura, un film tv di Pupi Avati (2015) che non è altro che la parabola delle nozze di Cana ambientata ai giorni nostri, in Calabria».

In passato hai dichiarato di volerti fare suora…
«È vero, da ragazzina avevo questa vocazione. Frequentavo la scuola delle suore di Ivrea, la mia infanzia l’ho vissuta in un luogo dove si respirava fino in fondo il senso dell’assoluto di Dio – senso che alla fine ho sublimato nell’arte. Si organizzavano anche delle recite, e io ero la prima a essere convocata. Però non ero mai contenta: si doveva mettere in scena Cappuccetto rosso? Mi facevano fare il lupo. Essere artista è una specie di vocazione religiosa, necessita di dedizione assoluta. Sono una persona che crede in Dio e credo che la fede non vada spiegata. Il mio rapporto con la religione non è formale; cerco in qualche modo di non fare male alla gente e attribuisco un gran valore alla presenza di Dio su questa terra».

“L’amore è un castigo. Veniamo puniti per non essere riusciti a rimanere soli. Amare a occhi chiusi significa amare come un cieco. Amare a occhi aperti forse significa amare come un folle. Accettare a fondo perduto…”, scrive la Yourcenar.
«Per quanto mi riguarda, ho sempre messo l’amore al primo posto, vivo l’amore come una cosa necessaria, non capisco una vita senza amore. Non ho avuto la fortuna di avere dei figli e in questo momento non ho nemmeno un uomo accanto a me, ma forse proprio per questo sono convinta che la vita sia amore, condivisione, godere insieme di piccole cose. Oggi sono sola, e non mi piace, ma mi ci sono abituata, pericolosamente mi ci sono troppo abituata».

Hai avuto lunghe relazioni, in passato?
«Mi sono anche sposata in chiesa, con l’abito bianco, all’improvviso, come un azzardo (con un ballerino argentino – NdR). Avevo 35 anni. Ero ancora disposta a guardare il baratro e a buttarmici dentro».

Non sei più disposta a innamorarti?
«Lo vorrei eccome, non so vivere senza amore, è una condizione non umana. Dentro, so che i miei occhi sono aperti. E che i cavalieri nun ce stanno cchiù. Mi tengo stretto un solo inalienabile dono: l’affetto della gente».

Che rapporto hai col tempo?
«Anche se lo specchio mi fa capire che il tempo esiste, dentro di me il tempo non esiste. Il libro appena uscito ho voluto intitolarlo proprio cosi Il tempo non esiste (trent’anni di vita artistica di Lina Sastri fotografati da Carlo Bellicampo – NdR). È tutto presente e al tempo stesso niente è presente. Io non ricordo nulla, perché non ho un senso del passato, ho solo una memoria affettiva delle cose e delle persone. Solo una sensazione interiore di maggiore paura perché mi sento più fragile, accompagnata però da un piccolo distacco. Vivo con l’incoscienza di non sapere, con il rischio di osare, con la voglia di assecondare il mio istinto, il cuore, con l’urgenza di fare».

Qual è il tuo rapporto con Milano, così diversa dalla tua Napoli, tanto amata?
«Molto diversa. Eppure, mi piace assai. Capace sempre di rialzarsi, orgogliosa, testarda, generosa. E che sa anche godersi la vita, ridere dei propri difetti. È una città che mi rassicura e consola. Nel senso che è la prova dell’Italia che funziona, produce, cambia. Dove sembra che tutto funzioni. Attraversi la città da una parte all’altra con i mezzi pubblici. Durante il lockdown, a saperla così colpita dalla pandemia, mi si stringeva il cuore. La frequento poco, ci vengo per lavoro e ogni volta mi dico: devo venirci più spesso».

Il film del cuore su Milano?
«Almeno due. Miracolo a Milano di Vittorio De Sica. E Romanzo Popolare di Mario Monicelli, melodramma passionale, emancipazione femminile e realtà operaia nell’hinterland milanese degli anni ‘70. La colonna sonora curata da Enzo Iannacci che ci ha regalato una canzone fra le più belle che abbia scritto Vincenzina e la fabbrica. Con la sua voce, struggente e tenera».

Quale canzone del tuo repertorio napoletano dedichi a Milano?
«Così, d’istinto, non so perché ti dico: Voce e notte, l’appassionato grido di un innamorato sofferente, una serenata sotto le finestre dell’amata, andata in sposa ad un altro. Auguro a questa città di essere sempre guardata con occhi innamorati».

27 Febbraio 2023 – © MilanoSud

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