
di
Bestand
dramatrug
Dario Postiglione
regia
Giuseppe Maria Martino
con
Luigi Bignone
Martina Carpino
Francesca Fedeli
disegno luci
Sebastiano Cautiero
scene
Simona Batticore
organizzazione
BEstand Chiara Cucca
produzione
BEstand
progetto sostenuto da ROCKABILITY (Cascia, PG)
Idea dell’opera
La tua irrequietudine mi fa pensare
agli uccelli di passo che urtano ai fari
nelle sere tempestose
- Montale
Gli uccelli di passo sono uccelli migratori che alla fine dell’estate iniziano il viaggio per svernare, e d’autunno sostano in zone intermedie. Di passo, cioè di passaggio: sono presenze di una breve stagione, che vivono tempi e luoghi transitori. Nel Peter Pan di J. M. Barrie, nucleo da cui prende le mosse il nostro progetto di ricerca teatrale, i bambini in origine sono uccelli che “hanno dimenticato di saper volare”. Siamo partiti col rileggere in filigrana il Peter Pan, trattandolo al pari di un mito moderno: l’invenzione di un’infanzia eterna, come momento anarchico e critica alla vita integrata, rifiuto e ribellione, ma anche come fantasmagoria malinconica di possibilità perdute e di tensioni utopiche. Abbiamo provato a ricollocare i bambini sperduti tra noi, nell’età transitoria tra la libertà scanzonata dell’infanzia e le costrizioni, i compromessi, le amarezze della vita adulta. Abbiamo cominciato un lavoro di scrittura scenica incentrato sull’autofiction e su strutture ricorrenti di gioco, per la costruzione di una drammaturgia originale. Tema cardine dell’opera di partenza, così come della nostra ricerca, è la concezione di una forma altra del tempo, o meglio il conflitto tra diverse concezioni ed esperienze del tempo. Questo si riflette in primo luogo nell’architettura drammaturgica, che non prevede una progressione per eventi ma entra nel cuore di un istante e ne segue la deriva, come una fuga musicale. Secondo le ipotesi avanzate dalla fisica quantistica, non c’è niente che giustifichi la direzione del tempo com’è da noi percepito, la freccia che va dal passato al futuro senza ritorno. Il tempo quantistico è granulare, composto di particelle discrete, fluttuante, probabilistico. Ogni istante esiste per sé e per sempre, eppure noi siamo condannati a perdere continuamente il presente. Uccelli di passo vuole indagare questo paradosso, attraversando un’immagine mitica dell’infanzia e scontrandosi contro il muro del tempo, contro la necessità della perdita, contro il principio di realtà che mutila ogni invenzione della vita.
Drammaturgia
Forse non c’è niente, mai, che possa eguagliare
la memoria dell’essere stati giovani insieme.
- Cunningham
Un mondo-isola, o una casa sull’albero nel mezzo del nulla, ma anche un albergo fatiscente in riva al mare. Il tempo è fermo alla fine del primo giorno d’autunno. L’eco di un’estate adolescenziale fitta di avventure, riti, esplorazioni; le prime folate di freddo e il lento viraggio verso i colori dell’autunno. Ma qui, in questa intercapedine di tempo, non arriverà mai l’autunno e non tornerà più l’estate. La realtà provinciale di un gruppo di ragazzini adolescenti è al centro di questa scrittura originale. I nostri personaggi esplorano rovine a noi familiari e si arrampicano tra i calcinacci di un non-luogo abbandonato di un’Italia di confine, un’esperienza di crescita comune in un posto come tanti. P. ha una vitalità animale e vive in un costante disturbo dell’attenzione che agisce come un contagio, trascinando gli altri in un movimento frenetico. I giochi e le invenzioni si susseguono al ritmo di P. in bizzarri non sequitur: si inscenano matrimoni, parti, funerali, indagini e processi sommari, combattimenti tra pirati, pesche miracolose, le gesta epiche di un nonno vichingo fondatore dell’isola, la minaccia di un ferocissimo Lemure che divora i bambini. Soprattutto, P. è convinto di saper volare. Il tempo della fabula è contenuto nell’attimo in cui, guadagnata l’altezza, decide di farlo e salta. Abbandonando il principio di realtà, l’evento possibile accade e non accade, poiché dritto e rovescio della medaglia coesistono – esattamente come per la meccanica quantistica il fotone ha natura probabilistica, oscilla cioè tra onda e particella e può essere ovunque finché non viene osservato. Ciascuno dei ragazzi vede questo salto dal proprio osservatorio e l’istante si dilata, o meglio, l’evento apre una fuga utopica verso un mondo-isola che non c’è: la casa sull’albero. Nella seconda parte si palesa il mostro del principio di realtà e i ragazzi vengono proiettati in un’amara e cupa età adulta. Si scatenano visioni e reazioni da incubo. Lavori odiosi, relazioni disastrate, dipendenze, fissazioni erotiche sull’infanzia e pulsioni sadomaso. I giochi dell’infanzia diventano meccanismi inceppati, gesticolazioni alienate. Crescere, piegarsi alla vita è una violenza che si subisce e si perpetra. Solo P. non cresce, perché ha spiccato il salto ed è uscito dal tempo. Rimarrà fissato in quel singolo istante, un limbo dove si è giovani per sempre a patto di dimenticare ed essere dimenticati.
Stato della ricerca e linee di sviluppo
Voglio possedere gli atomi del tempo.
- Lispector
UCCELLI DI PASSO è un gioco di castelli di sabbia che cadono con il cambiare dei codici. Un’operazoine che vuole mettere in luce il potenziale utopico dell’immaginazione e l’ambiguità dell’immaginario che ci domina. La struttura del testo è divisa in due parti, quindi due ambienti principali: una laguna da fiaba sullo sfondo di un tramonto perenne dell’equinozio d’autunno; una notte spettrale e cinerea su cui incombe l’albero maestro d’una nave pirata che sta per crollare. Nel mezzo, un trauma che innesca una trasformazione nella scena e nei personaggi. Il tempo dei due atti è sospeso, un istante compresso della vita di quattro ragazzini di oggi che vivono in una periferia occidentale. I due atti sono il dritto e il rovescio di quell’istante. Il tempo, appunto, è il tema costitutivo che informa la struttura di quest’opera: tempo come sincronia, accadimento non diacronico, coesistenza di passato presente futuro. O anche la dialettica tra oblio e memoria – la tendenza a rimuovere la Storia per costruirsi una propria storia fa di Peter uno specchio dei ragazzi di oggi, e non solo dei ragazzi. A partire da queste premesse, con gli attori approfondiremo il rapporto tra immaginario collettivo, esperienza individuale e immaginazione, e attraverso un lavoro sul corpo esploreremo le differenze tra tempo percepito e tempo condiviso. Nella prima fase di lavoro abbiamo chiesto agli attori di fornire del materiale biografico legato alla propria infanzia e adolescenza (fotografie, video, memorie, testimonianze, reperti) per rielaborarlo in sala attraverso proposte mirate, mai autoreferenziali, che man mano integriamo nella struttura drammaturgica. L’obiettivo non è definire i personaggi sugli attori, ma usare l’esperienza viva per lavorare con l’autofiction – costruire una biografia realistica collettiva, per quanto fittizia. L’autofiction sarà inoltre un elemento strutturale, ovvero farà da reagente per l’irruzione del principio di realtà: il paradiso inventato è minato dalle progressive aperture verso frammenti di vita reale che emergono come rimossi. In sala sviluppiamo una serie di spunti presi dall’opera di Barrie. Lavorando dunque sul corpo e la vocalità dei volatili, chiedendo agli attori di mostrarci i risultati di uno studio sui movimenti e sui versi di corteggiamento degli uccelli del paradiso, o sulle evoluzioni degli stormi migratori. Ci interessa una ricerca sugli ambienti sonori naturali, così come su un repertorio musicale che interpreti gli scarti di temperatura tipici di un’età di transizione. Le nostre suggestioni vanno verso uno contrasto del tipo Stravinskij / Schöenberg. Dapprima un timbro da fiaba e avventura venato da crepe d’ansia, stonature, dissonanze. Per poi virare verso il freddo, il sintetico, il dissonante, il metallico. Abbiamo individuato un riferimento certo nella parabola di Tim Buckley, dalle prime ballate folk sporcate di dissonanze psichedeliche alla destrutturazione lisergica degli album maturi, come Lorca o Starsailor.