
regia
Michele Brasilio
drammaturgia
Marina Cioppa
aiuto alla regia
Stefania Remino
progetto sonoro
Paky Di Maio
con
Enrico Maria Pacini
Marina Cioppa
produzione
Compagnia Vuliè
In scena due attori, un uomo e una donna, gli antipodi di una società sorda, le due metà di una mela arrivata al torsolo, i capi estremi di una corda che va tirata, l’uomo e la nazione. C’è l’anima perduta di Filottete, c’è l’isolamento di quest’uomo per le sue continue lamentele. C’è la nazione che ha dato ai suoi figli suolo, casa e famiglia permettendo loro il primo vagito nell’aria. C’è la pretesa della nazione di raccogliere ossequi vita natural durante per questo. C’è l’ingiustizia, c’è l’onestà intellettuale, c’è la schizofrenia patriottica, ci sono il tradimento e la vendetta.
Il progetto è quello di trattare il mito di Filottete secondo i suoi canoni escatologici che vedono in contrapposizione il bene e il male, la giustizia terrena e capricciosa e la giustizia divina, il potere e il volere del popolo, il dovere del popolo e la volontà di questi, l’etica e la politica, la vita e la morte, il bene della moltitudine e il bene del singolo.
A partire dalla storia di Filottete, Compagnia Vulìe intende fare un’operazione civile e raccontare attraverso un Filottete giovane il senso di isolamento e il senso di impotenza davanti all’enormità di una nazione intera fatta di chi segue la corrente e di chi nuota contro.
Non ci sono fantasmi, quel che resta è forse solo il ricordo, è forse solo la sensazione di essere rimasti umani. In scena ci sta la potenza della volontà generale raccontata da Rousseau; quell’idea, quella verità oggettivamente esistente insita in ogni uomo al di là del fatto che egli lo sappia o no. Il compito di ogni individuo è scoprire la sua volontà, e una volta riuscitoci egli non può rifiutarsi con onestà di seguirla, anche se questo costa.